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Bloccat* senza un addio



Bloccat* senza un addio
Bloccat* senza un addio

…E poi ti ritrovi bloccat*

Così.

Senza avviso, senza spiegazioni.

Bloccat* in ogni senso possibile: nella voce, nel cuore, nei gesti, nei pensieri.

Bloccat* da chi avevi appena iniziato ad amare con la parte più viva di te.


Non sai neanche cosa ti stia succedendo davvero,

perché accade proprio così,

senza che tu abbia il tempo di capire.

È come una freccia, una di quelle che non si conficcano nel petto ma che attraversano la testa.

Perché il dolore non è solo emotivo.

È logico, è razionale, è inspiegabile.

Ed è proprio lì che fa più male: nel cervello,

dove cerchi di dare un senso a tutto ciò che un senso non ce l’ha.


E allora ti fermi.

Respiri.

Aspetti.

Perché dentro, in qualche luogo troppo silenzioso per essere ignorato,

senti che questa storia non è finita.

Non sai perché,

non ti è dato conoscere i motivi,

non hai prove, né parole, né segnali.

Hai solo quella sensazione assurda e incrollabile

che ti dice:

no, non è finita.


Così aspetti.

E nel frattempo sopporti il dolore di quel blocco.

Il vuoto che non hai scelto,

l’assenza che ti è stata imposta,

la disconnessione violenta da un filo che per te era ancora vivo.

Ma il cuore…

il cuore continua a parlarti.

E quando la testa tenta di zittirlo,

lui urla più forte,

ti urla dentro con una voce che non è la tua:

non mi lasciare da sol*.


Ed è in quel momento che ti chiedi davvero:

perché?

Perché devo percepire tutto questo se sei stato tu a chiudermi fuori?

Perché devo stare così male per qualcuno che mi ha voltato le spalle?

Perché sento questa mancanza se il tuo gesto diceva tutt’altro?


E mentre lo pensi, alzi gli occhi al cielo e vedi un segno.

Un cielo limpido, perfetto.

E lì, proprio lì,

una sola nuvola, come un presagio,

si disegna nella forma di un bambino ancora da nascere.


Un feto, sì.

Ma completo.

Già formato, già pronto.

Come se mancasse solo il tempo di un respiro per venire alla luce.


Lo guardi,

e capisci.

Capisci che quello che stai vivendo non è un addio, è una gestazione.

È la fine di un ciclo invisibile.

È il momento prima del momento.


Il cordone ombelicale è lì, quasi spezzato.

La placenta è accanto,

come un confine tra ciò che è stato e ciò che sta per accadere.

Il bambino non è più un’idea.

Non è più un’emozione.

È reale. È prossimo.


E tu non sai ancora come andrà.

Non hai garanzie, né promesse,

perché la nascita è sempre un’incognita.

Ma sai che è finita l’attesa.

Che qualunque cosa accada,

tu non hai mai smesso di sentire.

Che se tornerà,

e tornerà,

tu sarai lì.

A braccia aperte.

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